martedì 19 maggio 2009

QUANDO PENSO CHE NON E' COSI' IL MONDO CHE VORREI...

CANE GETTATO A MARE A OTRANTO,
UOMO SI TUFFA E LO SALVA

Un cane e' stato abbandonato e gettato in mare da una scogliera a Otranto, in provincia di Lecce, ma il responsabile dell'Enpa di Otranto e' riuscito a trarlo in salvo. L'Enpa in una nota racconta che ignoti hanno gettato in mare il cane, un meticcio incrociato con un pastore tedesco, scaraventandolo da una scogliera adiacente al centro cittadino, situata nei pressi del faro. Dopo un volo di circa sei metri, durante il quale l'animale ha urtato ripetutamente contro le rocce riportando gravissime ferite alla parte posteriore del corpo, il meticcio e' precipitato in mare, dove avrebbe lottato per ore contro la corrente nel tentativo di riguadagnare la riva. Il cane, allo stremo delle forze, sarebbe annegato se una residente, allarmata dai continui guaiti provenienti dal mare, non si fosse accorta della sua presenza e avesse chiamato i vigili urbani che a loro volta hanno contattato Umberto Lanzillotto, responsabile della sezione Enpa di Otranto. Giunto sul posto l'uomo si e' tuffato in acqua e ha soccorso il cagnolino. ''A giudicare dallo stato in cui l'abbiamo trovato -racconta Lanzillotto- il meticcio doveva trovarsi in acqua da almeno sedici ore.

(15 maggio 2009 - http://www.repubblica.it)

http://www.youtube.com/watch?v=ihn0qPBCqkg

domenica 10 maggio 2009

MULTICULTURALISMO

"Ibridazioni, sincretismi, crossings etnici e culturali quali fattori di arricchimento umano in ogni spazio e in ogni tempo..."

sabato 9 maggio 2009

MATRIX RELOADED

Matrix Reloaded si svolge fra la Matrice e Zion, l’ultima città umana, abitata dai ribelli. In questo sequel si cominciano a chiarire i misteri del primo film e si delineano meglio i personaggi.
Neo sa ormai di essere l’Eletto e il suo compito è di salvare, entro 72 ore, Zion dall’attacco delle sentinelle meccaniche già protagoniste del primo Matrix. L’oracolo suggerisce a Neo che l’unica soluzione è trovare il fabbricante di chiavi, tenuto prigioniero dal Merovingio, perché è lui che ha l’accesso a porte e portali segreti della Matrice. Neo che ormai ha anche imparato a volare riesce a incontrare l’Architetto, l’ideatore della Matrice. Da lui apprende di essere un’anomalia del sistema e deve accettare il fatto che nella Matrice tutto sembra essere già stato previsto. Il film si conclude all’improvviso rimandando al secondo dei sequel: Matrix Revolutions.

In Reloaded e Revolutions, John Gaeta, supervisore degli effetti speciali dell’intera trilogia, è stato affiancato da oltre 500 artisti, i quali hanno fornito al dipartimento artistico di Matrix il materiale per storyboard, CAD, modellini in 3D, filmati in Quicktime, nonché i disegni per creature meccaniche e robot basati sulle tavole di Geoff Darrow, uno tra i più celebri disegnatori di fumetti.

Il “guru” Gaeta, dopo averci stupito nel primo episodio con la rivoluzionaria tecnica denominata “Bullet Time” (una slow-motion scannerizzata e poi rigirata a velocità regolare) dove il punto chiave delle scene girate con questa tecnica era quello di far rallentare l’azione al punto che, teoricamente, sarebbe stato possibile vedere il percorso di un proiettile, in Reloaded è passato a quello che definisce “cinematografia virtuale”, ossia a una tecnica di “Motion Capture” la quale ha permesso di catturare i movimenti delle rappresentazioni virtuali dei personaggi principali, portandoli al parossismo, in sede di montaggio digitale, per creare delle imprese sovrumane tipo la spettacolare lotta tra Neo e le cento repliche dell’agente Smith, la famosa “Burly Brawl”, che ha richiesto 27 giorni di riprese, 12 stuntmen e 72 diverse versioni. In questa scena Keanu Reeves e Hugo Weaving sono stati ripresi da ogni angolazione possibile da ben cinque macchine. I dati sono stati poi riversati in un computer che ha ricreato algoritmicamente l’immagine permettendo così la duplicazione virtuale degli attori.
Gli esiti di queste innovazioni tecniche comprendono uno straordinario “Universal Capture”, capace di estrapolare le espressioni facciali da applicare ai corpi, effetti, questi, tipici degli anime giapponesi che i fratelli Wachowski hanno fortemente voluto nel loro film.

In Reloaded gli effetti digitali sono moltissimi e anche piuttosto evidenti. Da questo punto di vista credo si possa definire un film “barocco”, caligarista, forse eccessivamente pitturato come si può arguire da qualche sequenza della “Burly Brawl” dove è molto chiara l’immagine di sintesi di Neo.

A tale proposito, Tom Gunning, è il teorico del cinema che ha contestato la leggenda che accompagna la visione del primo film della storia, (“Arrivée d’un train à la Ciotat”, Lumière, 1895) sostenendo che il pubblico del Salon Indien poteva anche essersi spaventato, ma certamente non era così ingenuo da credere veramente che un treno stesse piombando in sala. Secondo Gunning ciò che ha stupito gli spettatori è stata proprio la differenza tra ciò che sapevano essere reale e ciò che vedevano con i propri occhi, ossia essi ammirarono la capacita del medium cinematografico di creare un’illusione così autentica da farli per un istante credere a una cosa impossibile.
Con il digitale c’è il ritorno ad un cinema d’attrazione che gioca proprio su queste discontinuità. In sostanza lo spettatore odierno si meraviglia degli effetti speciali perché ha ormai grammaticalizzato il linguaggio cinematografico come a dire che gusta appieno un trompe l’oeil perché comprende cos’è un trompe l’oeil.

Reloaded come d’altronde gli altri due film della trilogia è un esempio di film che straripa di citazioni. In campo cinematografico, oltre ad autocitarsi, c’è “Terminator” e “La tigre e il dragone”, “Blade Runner” e “Mission Impossible”, “Minority report” e “Superman”. La ricca intertestualità di Matrix emerge anche da citazioni letterarie come quelle che si riferiscono alla letteratura cyberpunk di William Gibson che ha anche scritto la postfazione alla sceneggiatura o a quelle di Philip K. Dick.

La costruzione manuale delle immagini del cinema digitale, come ci dimostrano i 1000 effetti speciali di Reloaded e i 1500 di Revolutions segna il ritorno alle pratiche precinematografiche del XIX° secolo quando le immagini erano dipinte a mano e animate artigianalmente.
Con il D-cinema il cosiddetto cinema “dal vero” tende a non poter essere distinto dall’animazione in quanto il confine fra i due cinema va sempre più sfrangiandosi.

L’animazione ha sempre messo in primo piano il proprio carattere artificiale, ammettendo apertamente di lavorare con immagini che sono semplici rappresentazioni.
Al contrario il cinema “dal vero” si è sempre sforzato di cancellare qualsiasi traccia del suo processo produttivo e ci ha sempre voluto far credere che le immagini sono pure e semplici registrazioni e non ricostruzioni del reale.
Nell’immaginario collettivo il cinema è ciò che imprigiona la realtà su celluloide e fotografa ciò che esiste e non ciò che non è mai esistito tanto è vero che gli effetti speciali sono sempre stati spinti alla periferia del cinema. Ma è con l’avvento del digitale che il cinema ottiene quella plasticità che tempo fa era esclusiva della pittura e dell’animazione.

Il D-cinema è il cinema delle convergenze, il luogo di interscambio di tutte le arti visive (pittura, architettura, arti moderne quali pop-art, body art ecc., musica) perché ha in sé dei tributi che provengono da altre arti, non è un’arte autoctona, pura, come sostiene Bazin. La constatazione che possa esserci un’influenza reciproca tra il cinema e le altre arti fa in modo che l’empasse sulla disputa tra cinema puro e impuro venga superata.
Oggi il cinema non solo non si nutre più di altre arti ma è esso stesso che nutre altre arti. A un certo momento, quindi, lo stesso Bazin prende atto di questa impurità consustanziale del cinema che è giunto a un punto in cui inizia a diffondere il suo verbo alle altre arti.

Videogames, Internet, videoclip sono arti affluenti a quel mainstream che è il cinema. Il cinema “rimedia” ed è “rimediato” sempre più da altre arti come direbbe Jay David Bolter. Allo stato attuale è più facile produrre un videogame cinematografico che non un film interattivo, “videoludico” dove lo spettatore-giocatore può rivestire il doppio ruolo di attore e di regista.
Animatrix, cartoon di ispirazione giapponese, e Enter the Matrix, videogame scritto dagli stessi Wachowski, costituiscono l’esempio più eclatante della “rimediazione” che è poi la caratteristica più importante dei nuovi media, ossia la rappresentazione di un medium all’interno di un altro#.
Lo stesso storyboard di Matrix, superfumetto di 700 pagine disegnato da G. Darrow, che i Wachowski hanno usato per convincere poi la Warner Bros. a comprare la sceneggiatura del primo Matrix, assurge a simbolo di questo crossing mediale, di questa ibridazione tra arti.
Lo storyboard è sempre stato una fase fondamentale del cinema d’animazione e oggi con gli effetti speciali è divenuto obbligatorio.

Oggi con il digitale il regista, come il pittore rinascimentale, detiene il controllo assoluto dell’immagine, fotogramma per fotogramma, pixel per pixel.

Gli effetti speciali diventano la norma nel nuovo D-cinema perché il cinema non ha più nulla da dire ma ha da mostrare ossia non nutriamo più nei confronti di esso aspettative di tipo narrativo.
Il cinema nasce, infatti, come macchina spettacolare, d’attrazione, per poi divenire teatro sonoro.
Nel cinema digitale la pellicola impressionata non è più il fine del cinema ma solo una materia prima destinata all’elaborazione in un PC (l’animazione, inserimento di immagini in 3D ricostruite al computer ecc.) dove si procede di fatto alla costruzione reale delle scene.
Ciò che prima veniva registrato automaticamente con la macchina da presa viene ora “dipinto a mano”, punto per punto.
Tutto il cinema postmoderno è citazionistico, ogni immagine cinematografica non è altro che immagine di altra immagine.
Il cinema, quindi, sembra tornato ad essere una sottoclasse della pittura, non più un occhio cinematografico (Kinoglaz) – come lo definiva Vertov – ma un pennello cinetico.

Con il D-cinema saltano le distinzioni di genere e quelle tra vero o falso come direbbe Orson Welles perché con il nuovo linguaggio dei bit tutto è falso, tutto è artificiale.
Gli stessi Lumière riproducevano l’evento, l’immagine era artificiale anche se documentata (es. arrivo del treno, uscita degli operai dalla fabbrica), lo sguardo della macchina da presa era costruito.
Il realismo cinematografico perde così i suoi privilegi per tornare ad essere solo una delle opzioni possibili.
Il D-cinema, si direbbe in termini psicoanalitici, è il ritorno del rimosso. Il reale è l’irreale.

http://www.youtube.com/watch?v=ANWU9Hiy_5k

SIAMO SOLI

Nota riflessiva

Ogni mattina ci svegliamo e ci scopriamo atomi sempre più isolati... Perché?

Come se la materia sociale si stesse lentamente e inesorabilmente disgregando sotto l'esclusiva azione di forze repulsive...

Probabilmente è perché viviamo in un'epoca dove è fortemente innervato e radicato il carattere anarchico-individualistico
che ostacola ogni tipo di rapporto umano...

(08/03/2009, h. 10.12)

http://www.youtube.com/watch?v=o1tYeq2wp_8

ANALISI SEMIOTICA DI UN VIDEOCLIP: “What you waiting for?” (Gwen Stefani)

1. Introduzione

Attualmente il videoclip, insieme ad altre forme brevi quali ad esempio trailers e spot pubblicitari, costituisce uno dei topoi privilegiati per la sperimentazione del linguaggio audiovisivo. Il senso di questa mia affermazione sta nel fatto che attraverso il videoclip è possibile saggiare le nuove possibilità che ci offre un uso oramai sempre più massiccio delle tecnologie digitali anche solo nei termini di una nuovissima resa estetica dell’immagine. Il videoclip sempre di più va confermandosi come il manuale di studio di tutto l’odierno cinema digitale in quanto assurge a punto di riferimento di gran parte del cinema attuale dove l’immagine è sempre di più la tela elettronica del regista che divenuto pittore digitale ne detiene il controllo assoluto pixel per pixel esattamente come un pittore rinascimentale aveva il dominio assoluto su ogni singolo pigmento.

In ogni videoclip gli SFX fanno la parte del leone, sono moltissimi e anche piuttosto evidenti. Molti clips hanno uno stile forse eccessivamente “barocco”, caligarista.
A tale proposito, Tom Gunning è il teorico del cinema che ha contestato la leggenda che da sempre accompagna la visione del primo film della storia (Arrivée d’un train à la Ciotat, Lumière, 1895) sostenendo che il pubblico del Salon Indien poteva anche essersi spaventato, ma certamente non era così ingenuo da credere veramente che un treno stesse piombando in sala. Secondo Gunning ciò che ha stupito gli spettatori è stata proprio la differenza tra ciò che sapevano essere reale e ciò che vedevano con i propri occhi, ossia essi ammirarono la capacità del medium cinematografico di creare un’illusione così autentica da farli credere per un istante a una cosa impossibile.
Con il digitale c’è il ritorno ad un cinema d’attrazione, e più in generale, a un prodotto audiovisivo che gioca proprio su queste discontinuità. In sostanza lo spettatore odierno si meraviglia degli SFX perché ha ormai grammaticalizzato il linguaggio cinematografico come a dire che gusta appieno un trompe l’oeil perché comprende cos’è un trompe l’oeil.


2. Verso un’analisi semiotica

Gli strumenti utilizzati nell’analisi fanno perno sulle teorie enunciazionali greimasiane.
La durata di questo video è di 8 minuti e 41 secondi. E’ stato realizzato da Francis Lawrence verso la fine del 2004 in occasione dell’uscita dell’album Love, Angel, Music, Baby di Gwen Stefani. La prima inquadratura del video riguarda l’arrivo della cantante all’aeroporto di Los Angeles. Scopo di questo suo viaggio è quello di fare un provino presso una famosa casa discografica per presentare una canzone che le consentirà di firmare con la major un contratto da un milione di dollari. Ben presto però le sue certezze iniziano a vacillare ed entra in una sorta di crisi di ispirazione. Ad un certo punto la si vede, infatti, in sala d’incisione provare qualche verso al pianoforte ma un blocco di creatività non le permette di proseguire. La vediamo alzarsi per andare a prendere un caffè finché la sua attenzione è catturata da uno strano annuncio pubblicitario affisso proprio sulla macchinetta distributrice che promette di risolvere ogni tipo di blocco creativo. La cantante non si perde d’animo e si rivolge presso quello che sembra essere uno studio per la psicoanalisi. Qui, dopo essersi sottoposta a un test psicologico preliminare basato su risposte multiple, entra in scena la dottoressa che si prende carico della sua patologia. Ma, come per magia, mentre esponeva i suoi problemi alla dottoressa, all’improvviso uno strano pupazzetto rosa, simile ad un coniglietto, inizia ad animarsi. E’ così che Gwen entra in una dimensione molto particolare, baroccheggiante, satura di colori e di strani personaggi, una sorta di carrolliano mondo delle meraviglie che ricorda molto la scenografia e la fotografia di Big Fish di Tim Burton.
In questo stato paranoico-delirante, che molto somiglia al metodo paranoico-critico di Salvador Dalì, la mente della deliziosa Gwen, come per incanto, ricomincia a trovare quella vena creativa che sembrava avere smarrito per sempre e proprio mentre è al culmine del suo stato visionario si risveglia ed inizia a danzare al ritmo di quel brano che prima in maniera lucida non riusciva a comporre attraverso la traduzione di quello stato onirico in uno sfrenato ritmo musicale.
E’ quasi impossibile non fare un parallelo con un Buñuel, con un Breton, con un Desnos o con un Soupault e il loro modo di esprimersi attraverso quella che i surrealisti definirono la scrittura automatica, in cui le parole fluivano sulla carta senza alcuna logica, dando vita, attraverso un montaggio “analogico”-onirico, a immagini straordinarie simili a quelle scaturite dai sogni.
Generalmente il montaggio di ogni videoclip è un montaggio estremamente serrato, frammentato ma ciò non implica l’assenza di una precisa struttura narrativa. La frammentazione non fa altro che tradurre in sequenze il ritmo del brano musicale.
Il montaggio interviene a sincronizzare e, quindi, a fondere il ritmo visivo e il ritmo musicale nel ritmo/flusso audiovisivo.

3. Struttura topologica

Attraverso l’analisi di What you waiting for? evinciamo la compresenza di due strutture macro spaziali ben definite: uno è lo spazio della metropoli, nello specifico Los Angeles, l’altro è il mondo iperreale nel quale la bionda cantante viene proiettata in seguito al suo stato di trance onirico. La metropoli è a sua volta articolata in sottospazi ben evidenziati dal seguente schema:


Metropoli vs. Mondo iperreale generato dallo stato onirico
aeroporto
strade
automobile
casa
studio d’incisione
studio medico

A questa articolazione degli spazi è correlata un’articolazione cronologica che presenta la seguente struttura:

Metropoli Mondo iperreale Metropoli
(tempo 1) (tempo 2) (tempo 3)

Tale ripartizione cronologica è strettamente legata ad un’altra articolazione degli spazi così strutturata:

Spazio topico vs. Spazio eterotopico
(metropoli) (mondo iperreale)
A sua volta lo spazio topico si bipartisce in spazio utopico come luogo della performanza dell’eroe e nello specifico rappresentato dalla sala d’incisione e in spazio paratopico che è il luogo della competenza dove l’eroe acquisisce le competenze e quindi gli strumenti per compiere la prova, rappresentato dallo studio medico presso il quale Gwen si rivolge per risolvere i suoi blocchi creativi.

4. Spazio topico

La metropoli costituisce il punto di partenza e d’arrivo del percorso narrativo del video.
La prima inquadratura è il primo piano di un cartello che annuncia ai viaggiatori l’arrivo a Los Angeles. La seconda inquadratura è un piano americano della cantante che si avvia con i bagagli verso l’uscita dell’aeroporto. Le successive inquadrature sono all’interno di un’autovettura e ci mostrano la cantante rispondere a una chiamata giunta sul suo telefono cellulare. Dalle prime parole pronunciate dal suo interlocutore deduciamo che si tratta del suo Destinante ossia di colui che manipola l’agire del Soggetto-Gwen attraverso il “far-fare”. La cantante, sulle prime, risponde: “(…) I’m not inspired…” per dire che non si sente ancora pronta a superare la prova decisiva essendo in uno stato di profonda crisi creativa.
Trascorso un mese dal suo arrivo a Los Angeles la cantante si decide di andare a provare in sala di registrazione. Davanti a lei c’è un pianoforte, prova ad accennare qualche verso ma un blocco totale della sua creatività non le permette di proseguire.
Fa una pausa e si alza per andare a prendere un caffè nella speranza di uscire da quello stato di impasse e qui nota, affisso alla macchina del caffè, un annuncio che promette qualcosa di miracoloso: liberare dai blocchi creativi gli artisti. Gwen non perde un istante e si reca immediatamente in quello che sembra essere uno studio per sedute psicoanalitiche. E’ questo lo spazio paratopico, lo scenario della prova qualificante dove il Soggetto acquisisce le competenze necessarie e propedeutiche per portare a termine la successiva prova decisiva. Qui la dottoressa sottopone la cantante a una serie di test psicologici per cercare di comprendere le cause di questi vuoti mentali.
In un’inquadratura successiva rivediamo di nuovo la cantante al pianoforte in sala di registrazione. Stavolta la sua attenzione è attratta da un simpatico pupazzetto, forse è un coniglietto, che inizia ad animarsi e a dirigersi verso di lei.
E’ a questo punto che Gwen, lanciando in aria un orologio da taschino con quadrante rosso e che sembra avere le lancette impazzite, entra in uno stato catatonico-onirico che la proietta in una dimensione surreale.

5. Spazio eterotopico

E’ adesso che possiamo vedere la bionda cantante nei panni di un’Alice nel suo mondo di meraviglie e possiamo assistere all’operazione di débrayage, ossia di disinnesto spaziale rispetto all’istanza enunciazionale che altro non è che “l’istanza che promuove il passaggio tra la competenza e la performanza linguistiche, tra le strutture semiotiche virtuali che essa avrà il compito di attualizzare e le strutture realizzate sotto forma di discorso”#. In questo spazio surreale si può notare una fotografia dell’immagine satura di colore fino all’inverosimile, molto pitturata, e alcune soluzioni di montaggio come una serie di dissolvenze-assolvenze che esaltano ancor di più lo stato di trance visionario di Gwen.
E’ un montaggio che definirei onirico, surrealista perché le immagini fluiscono liberamente senza alcuna logica e sono collegate tra loro in maniera analogica.
Solo verso la fine di questa macro-sequenza si può scorgere un montaggio alternato di immagini tra la cantante proiettata nel mondo visionario e lei stessa che, in sala di registrazione e stesa a terra a occhi chiusi, accenna qualche verso. Le immagini dell’una e dell’altra situazione sono perfettamente sincronizzate con l’audio.

6. Spazio utopico: la sala di registrazione

Ogni débrayage presuppone un embrayage ossia un innesco, un ritorno all’istanza dell’enunciazione che si ha quando Gwen si risveglia dal suo stato onirico e traduce quel sogno in una ballata indimenticabile.
Viene spontaneo a questo punto un parallelismo con Buñuel che parlando della sua collaborazione con Salvador Dalì nella realizzazione di Un Chien Andalou disse: “Questo film nacque dall’incontro fra due sogni”. Questo video non fa, quindi, che risaltare la geniale visionarietà di Lawrence, uno fra i più interessanti videomakers del panorama contemporaneo.
In questa sequenza Gwen la si vede dimenare come un’invasata baciata dalla grazia ispiratrice che le permette di far fluire le parole sulla sua bocca quasi in maniera automatica.
Questo luogo, secondo lo schema narrativo greimasiano è il luogo della performanza dove il fare modalizza l’essere e la star compie la prova decisiva che verrà poi sanzionata (positivamente o negativamente).
Generalmente, ogni testo audiovisivo ha una propria struttura narrativa che è possibile organizzare secondo lo schema greimasiano:



MANIPOLAZIONE SANZIONE
far-fare essere dell’essere



performanza competenza
cognitiva di S2 cognitiva di S2


COMPETENZA di S1 PERFORMANZA di S1
essere del fare far essere

atto pragmatico



La sanzione (positiva) arriverà nel momento in cui si vede comparire, inquadrata in mezza figura, la dottoressa che bussando dal retro della vetrata che affaccia sulla sala di registrazione, pronuncia le seguenti parole: “Miss Stefani…Miss Stefani! I’ve got the bill!”. La richiesta del conto per la prestazione specialistica fornitale costituisce, così, l’indice del superamento della prova decisiva da parte della cantante e il rispetto del contratto fiduciario stipulato con il suo Destinante.

7. Testo della canzone

What you waiting for?


What an amazing time. What a family. How did the years go by? Now it’s only me.
Tick… tock…
Like a cat in heat stuck in a moving car. A scary conversation shut my eyes can’t find the brake. What if they say that you’re a climber? Naturally I’m worried if I do it alone. Who really cares cause it’s your life you never know it could be great. Take a chance cause you might grow.

Rit. WHAT YOU WAITING FOR?
Tick… tock …take a chance you stupid ho.

Like an echo pedal you’re repeating yourself. You know it all by heart, why are you standing in one place? Born to blossom, bloom to perish. Your moment will run out cause of your sex chromosome. I know it’s so messed up how our society all thinks. Life is short, you’re capable. Look at your watch now. You’re still a super hot female. You got your million-dollar contract. And they’re all waiting for your hot track.

Rit. WHAT YOU WAITING FOR?

I can’t wait to go back and do Japan. Get me lots of brand new fans. Osaka, Tokyo. You Harajuku girls, damn you’ve got some wicked style. Look at your watch now. You’re still a super hot female. You got your million-dollar contract. And they’re all waiting for your hot track.

Rit. WHAT YOU WAITING FOR?
Take a chance you stupid ho.


8.Conclusioni

Sostanzialmente, questo videoclip come molti altri, è un formato breve dell’audiovisivo che lavora molto sulla condensazione per via di un montaggio serratissimo che però non va ad inficiare il corpus narrativo del video. Il videoclip si conferma, così, sempre più uno straordinario laboratorio per la sperimentazione dell’immagine dove il montaggio, oltre che temporale, è soprattutto spaziale, ossia all’interno dell’immagine. Lev Manovich sostiene che questo è un modo di operare tipico della logica del database in quanto la linearità non è più l’unica regola. La sintagmaticità delle immagini sfuma verso la paradigmaticità e viceversa. Non esistono più confini precisi perché questi sono oramai sfrangiati e ciò lo si deve all’uso sempre più massiccio delle nuove tecnologie digitali in tutte o quasi le fasi della lavorazione dell’audiovisivo.
“Il risultato è quindi un nuovo cinema in cui la dimensione diacronica non viene più privilegiata rispetto alla dimensione sincronica, il tempo non viene più privilegiato rispetto allo spazio, la sequenza non viene più privilegiata rispetto alla simultaneità, il montaggio temporale classico non viene più privilegiato rispetto al montaggio all’interno della singola scena. (…) Il tempo viene spazializzato (…)”.


9. Bibliografia


BISACCIA Antonio, Punctum fluens, Meltemi, Roma, 2002

CASSANI Diego, Manuale del montaggio, UTET, Torino, 2000

MANOVICH Lev, Il linguaggio dei nuovi media, Olivares, Milano, 2002

MARSCIANI Francesco, ZINNA Alessandro, Elementi di semiotica generativa, Esculapio, Bologna, 1991

MILLAR Gavin, REISZ Karel, La tecnica del montaggio cinematografico, Lindau, Torino, 2001

MURCH Walter, In un batter d’occhi, Lindau, Torino, 2001

PEZZINI Isabella (a cura di), Trailer, spot, clip, siti, banner, Meltemi, Roma, 2002


10. Webgrafia

http://www.youtube.com/watch?v=AVL9jNxj7z8

http://www.gwenstefani.com